I nomi dei candidati li conosciamo; i criteri di scelta, no. Fra essi, ce ne è uno fondamentale di cui nessuno parla: che il nuovo allenatore possa fare meglio di Vincenzo Italiano.
Fra i commentatori di cose viola vi è un insensato consenso che l’addio di Italiano sia una sconfitta per la dirigenza viola. Ritengono a torto che l’allenatore ex-Spezia abbia tirato fuori il massimo dai giocatori a disposizione, e che ogni sostituto, a meno che non sia un big name, farà necessariamente peggio. E che lui se ne va, perché non gli hanno comprato Gudmundsson, impedendogli di arrivare in Champions League.
La scelta del prossimo allenatore dovrà partire da due requisiti fondamentali: il primo, che sia l’interprete di un modulo più equilibrato, dove, quando gli avversari hanno la palla, la squadra deve difendersi, invece di prendere gol in contropiede uno dopo l’altro, magari pure imparare a farli i gol in contropiede. E poi sfruttare le azioni da palla ferma, che a volte risolvono situazioni difficili. Il secondo à che l’allenatore parta dal principio che i moduli si costruiscono adattandosi ai giocatori a disposizione, e non il contrario.
Per intenderci, la scelta del prossimo allenatore dovrà idealmente essere – mutatis mutandis – come quella che fece il Milan nel 1991 quando sostituì Sacchi con Capello, che passò da un allenatore che metteva il modulo al primo posto a uno che lo adattava ai giocatori che aveva.
I fiorentini non hanno mai amato troppo Italiano. Non sbagliano: gli riconoscono di avere fatto meglio del predecessore, ma vedono chiaramente che è lui, e non la società o i giocatori, ad avere toccato il limite in alto di quello che si può fare.