Questa volta niente pagelle. Non è di questa partita che voglio parlare, ma di quello che questa stagione poteva essere e non è stata.
Un’occasione mancata
La Fiorentina vince contro il Bologna, ma la sensazione è quella di un successo che lascia più dubbi che certezze. Siamo ancora lì, in bilico tra un’Europa minore e il rischio di restare fuori da tutto. La Conference League è l’unico obiettivo rimasto, ma diciamoci la verità: è quasi un miraggio. Dovremmo vincere a Udine e sperare che la Lazio perda in casa contro il Lecce. Scenari possibili, certo, ma anche fragili.
E comunque, parliamoci chiaro: la Conference League non può essere considerata un vero obiettivo per questa Fiorentina. Non sarebbe stato un passo in avanti, non sarebbe stato quel salto di qualità che ci si aspettava dopo le promesse e gli investimenti degli ultimi anni. Sarebbe stato un palliativo, un modo per salvare le apparenze in una stagione che avrebbe dovuto portarci ben più in alto.
L’errore più grande? Non aver osato.
La gestione di Palladino, al netto della buona volontà, ha mostrato mancanza di coraggio. Nei momenti chiave, quando c’era da affondare il colpo, siamo rimasti a guardare. Le partite buttate via contro Monza, Venezia, Como, Udinese e Verona gridano ancora vendetta. Sfide alla portata, in cui serviva solo un po’ di cattiveria in più, un pizzico di personalità e la voglia di prendersi i tre punti senza paura. L’Empoli, il Cagliari, l’Udinese… punti regalati per mancanza di cattiveria e personalità. È mancata la spinta, è mancata la fame.
Ma la responsabilità non è solo dell’allenatore. La proprietà si è dimostrata distante, poco presente nei momenti che contavano davvero. Manca un manager di rilievo, una figura che sappia farsi sentire nello spogliatoio e sui media, che trasmetta quella voglia di vincere che si percepisce solo a tratti. Un progetto senza guida è un progetto che si perde, e questo è esattamente quello che è successo.
I giocatori da cui ripartire:
Non tutto è da buttare, e la squadra ha comunque elementi di valore su cui costruire. Ecco chi terrei:
- De Gea: sicuro, carismatico, un vero leader tra i pali.
- Kean: quando è in forma, è un attaccante che spacca le partite.
- Gosens: sulla fascia è una garanzia, anche quando la squadra non gira.
- Dodò: prezioso nel ruolo di terzino, spinge e copre con intelligenza.
Le scommesse su cui investire:
- Fagioli: talento cristallino che, con un allenatore di spessore, può fare il salto di qualità. Ha bisogno di fiducia e di un gioco che ne esalti le caratteristiche.
- Gudmundsson: il ragazzo ha qualità, ma non è più una scommessa di prospettiva, dato che ha già 28 anni. O ci si crede davvero, mettendolo nelle condizioni di essere decisivo anche a partita in corso, oppure si fa una scelta netta e lo si lascia andare. Un allenatore con un’idea chiara di calcio dovrà capire se può essere l’uomo che cambia le partite.
Serve un vero allenatore.
Perché questa squadra ha bisogno di stimoli, di un’identità precisa e di un progetto che non sia solo una speranza, ma una strada chiara verso l’Europa che conta. Sarri o Fabregas, questo il profilo che servirebbe. Sarri per costruire un progetto vincente e dare un gioco riconoscibile; Fabregas per l’entusiasmo e le idee chiare, che ha già dimostrato nelle sue prime esperienze da allenatore.
La Fiorentina ha bisogno di identità, di un leader in panchina e di una società che si faccia sentire. Non possiamo più permetterci di vivere stagioni intermedie, in bilico tra mediocrità e ambizioni. La Conference League non sarebbe stato un traguardo, e paradossalmente nemmeno un obiettivo realistico. Se dobbiamo crescere, serve altro.
La domanda è semplice: questa società è davvero pronta a fare il salto di qualità o dobbiamo aspettarci l’ennesimo progetto incompiuto?